Il Viaggio dell’Eroe da Jung a Vogler
IL VIAGGIO DELL’EROE
DA JUNG A VOGLER
di Edoardo Benvenuti
Una famosa frase, attribuita ad Albert Einstein, cita:
«Follia è fare sempre la stessa cosa e aspettarsi risultati diversi».
Il concetto fondamentale da integrare è quello di “cambiamento”. Potrebbe sembrare banale, sia nella comprensione, quanto nell’attuazione, eppure, non è affatto così scontato.
Nel film Auguri per la tua morte, ad esempio, la protagonista cambia le sue azioni e ciononostante, nulla muta.
Quel “cambiamento”, cui si allude, non è un superficiale “modo di fare”, bensì un molto più profondo e sofferto, “modo di essere”. Un percorso interiore.
Dunque, all’eroina del film è richiesto questo: fare un viaggio nell’abisso del “sé”.
Per spiegare, con esattezza, ciò cui mi sto riferendo, è necessario, parlare di Carl Gustav Jung.
Psichiatra, psicanalista, antropologo e filosofo moderno, sostiene l’esistenza di “concetti comuni” nelle menti umane, vissuti nell’esperienza onirica, ma svincolati dalla vita esperienziale. Egli li chiama “Archetipi” e li considera l’espressione di quello che lui definisce: “Inconscio Collettivo”, ovvero, qualcosa di ancestrale e formante il patrimonio genetico umano. Naturalmente, oltre all’“Inconscio Collettivo”, esiste l’“Inconscio Individuale”. La vita dell’essere umano è un percorso, un viaggio, alla ricerca del “sé”, denominato “Individuazione”, in confronto costante con le due tipologie d’inconscio.
Un passo oltre, lo compie Erich Neumann.
Psicologo e psicanalista, evolve dalle teorie di Jung, sostenendo che gli “Archetipi” siano gli organi psichici della mente umana.
Ovvero, esattamente come il corpo è composto da organici fisici, la mente è composta da quelli psichici.
Essi sono dei “modelli”, sia di pensiero, che di comportamento, che esistenziali, dotati di caratteristiche ben definite. Ognuno di essi ha una funzione ben precisa all’interno della crescita dell’individuo.
Questi “Archetipi” sono tutti attivi e indispensabili per l’evoluzione della coscienza, pur agendo, tutti, a livello inconscio. Neumann associa le tappe di questa “evoluzione” dell’individuo con quelle della storia della coscienza dell’umanità, gettando le basi per lo studio psiche/mito.
Questa eredità, la coglie e la sviluppa James Hillman.
Egli giunge a definire una “psicologia archetipica”, che poggia sull’immaginazione.
Infatti, secondo lui, per studiare la natura umana, bisogna prendere in considerazione i frutti dell’immaginazione umana, ovvero: la mitologia, la religione, la cultura, l’arte, la letteratura, la storia della società stessa.
Ecco che, allora, queste espressioni dell’umana immaginazione, divengono espressione fenomenica degli “Archetipi”.
Hillmann vede una stretta correlazione tra i “Miti” e gli “Archetipi”, considerandoli le uniche chiavi per decifrare il mistero della vita e per effettuare il percorso all’interno della propria anima.
Partendo da questo ben nutrito sostrato, con particolare riferimento al “padre”: ovvero, Jung, Joseph Campbell, compie i suoi studi ed elabora la sua teoria.
Saggista e storico delle religioni, egli analizza, con rigore scientifico, le mitologie antiche, i racconti, le fiabe, giungendo alla conclusione che l’Eroe, pur nelle mille variazioni su tema, compie, sempre, un viaggio ben preciso, con tappe ben definite.
Un percorso universale, quindi, senza spazio e senza tempo, all’interno del “sé”, nei più oscuri e impervi anfratti dell’abisso dell’animo umano.
Secondo la mitologia antica, il percorso di crescita si sviluppa in questo modo: la Nascita o Partenza, dove l’Eroe, in modo più o meno consapevole, diverge da se stesso; la Separazione, ovvero, l’Eroe, nel suo divergere da se stesso, finisce per divergere, anche, dalle sue radici e dalla società; l’Iniziazione: è il momento della prova, o delle prove, generalmente soprannaturali, proprio perché non si tratta d’un percorso fisico, che l’Eroe è chiamato a superare, mettendo a repentaglio la sua vita stessa; infine, il Ritorno: l’Eroe riprende il contatto con se stesso e con la società, più forte, più saggio e con nuovi strumenti per comprendersi e comprendere.
Campbell elabora e sviluppa, questo “Viaggio”, in uno schema molto preciso di diciannove tappe. Lo suo studio risulta molto importante perché identifica una radice mitica comune nella narrativa.
Quando, nel XX secolo, abbiamo l’affermarsi del cinema, come mezzo di “narrativa di massa”, è necessario che, anche l’Eroe letterario, trovi la sua compiuta espressione nel linguaggio cinematografico.
Il cinema, mondo magico, fatto di sogni e d’evasione; ma, soprattutto, di storie da raccontare, ovvero: sceneggiature.
La scoperta del legame tra l’analisi del “Viaggio dell’Eroe” e la struttura della sceneggiatura cinematografica, si deve a Christopher Vogler.
Sceneggiatore per gli Studios di Holliwood, nonché animatore presso la Walt Disney Corporation, elabora e applica la teoria di Campbell al cinema e ai personaggi cinematografici. Egli compie uno studio accurato sulla narrativa e sui film, per giungere a fornire una rilettura del “Viaggio dell’Eroe” applicata alla scrittura d’una sceneggiatura.
Vogler individua sette figure principali, ovvero, le funzioni principali dei personaggi e riduce il “Viaggio”, dalle diciannove tappe di Campbell, a dodici, mantenendo immutato il percorso di crescita dell’Eroe. Inizialmente, propone questo suo studio, come una riflessione personale; ma esso si mostra, talmente accurato e pertinente alla scrittura della moderna sceneggiatura, da conferirgli notevole fama e da diventare un punto di riferimento per qualsiasi Eroe cinematografico, che si rispetti.
Letture consigliate:
“Gli Archetipi dell’Inconscio Collettivo” – Carl Gustav Jung
“Storia delle origini della coscienza” – Erich Neumann
“L’eroe dai mille volti” – Joseph Campbell
“Il Viaggio dell’Eroe” – Christopher Vogler
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