Materie, spazi, visioni al Building: recensione alla mostra
MATERIE, SPAZI, VISIONI
SOPHIE KO, VALERIE KRAUSE, MARCO ANDREA MAGNI
RECENSIONE ALLA MOSTRA
PRESSO
BUILDING
Via Monte di Pietà, 23, Milano
OPENING: OGGI 28 GENNAIO ALLE ORE 18:00
DAL 29 GENNAIO AL 28 MARZO 2020
di Elisa Pedini
Presentata stamattina alla stampa la mostra Materie, spazi, visioni. Sophie Ko, Valerie Krause, Marco Andrea Magni presso il Building a Milano.
La mostra, che si dipana sui tre piani dello spazio espositivo è un’interessante viaggio nello spazio e nel tempo, attraverso gli occhi di tre artisti differenti, ciascuno dei quali occupa un intero piano.
Materie, spazi, visioni è un’esposizione che infonde serenità e va passeggiata, con calma, lasciando in movimento le emozioni.
Sì, con calma, prendendosi il proprio tempo, perché proprio il tempo e il movimento sono i fili conduttori che, in un certo qual senso, uniscono le filosofie dei tre artisti in mostra.
Infatti, al piano terra, troviamo le opere di Sophie Ko, che, con grande dolcezza, ha risposto ad alcune domande su delle opere che mi avevano particolarmente colpita.
La prima, è quella che si vede già dalla vetrina ed entrando, la sua forza attrattiva diviene dirompente, così me l’ha descritta Sophie:
«Questa si chiama Polvere di Altri Cieli (opera site-specific, n.d.r.) ed è composta di pezzi di carbone (…) Sembra un’esplosione e può sembrare un richiamo alla distruzione; ma il carbone può anche disegnare e creare arte (…) e in questo senso diventa un tributo alle arti visive».
Sophie continua:
«La mia arte nasce da una domanda sul tempo.
Il tempo passando, distrugge; ma, nel suo scorrere, trasforma e traccia il suo passare.
Per esempio, la clessidra è l’emblema del tempo tempo che passa. (…) La sabbia passa ed essa si svuota; ma non lascia il nulla (…) perché va a riempire la parte sotto (…).
Io creo oggi; ma è il tempo nel suo divenire il vero autore delle mie opere (…)
Esse col tempo mutano».
Quindi, le chiedo d’un’altra opera che, entrando mi aveva particolarmente attirata, trattandosi d’un lavoro integralmente nero su cui s’intravedono solo delle crepe da lontano:
«Questa si chiama Al Termine della Notte ed è fatta con cenere d’immagini bruciate e pigmento puro naturale. (…)
La superficie eccessivamente riflettente consente di vedere bene solo la crepa e mi piace questo (…).
Le forma con la gravità cadono e l’opera cambia (…) Questa crepa qui che si vede, domani, potrebbe essersi chiusa ed essersene aperta una più in alto (…).
Inoltre, la cenere deriva da immagini bruciate, che non ci sono più, ma se resta la cenere c’è ancora qualcosa (…)
Il tempo trasforma la materia e questa, con la metamorfosi, vince la morte».
Infine, le chiedo d’un’ultima opera che m’ha letteralmente incantata durante il mio giro di ricognizione iniziale. Si trova sulla parete in fondo alla stanza. Essendo composta di ali di farfalla, mi ha riportato alla memoria un verso di Lorca «veremos la resurrección de las mariposas disecadas» (ctz. da “Ciudad sin sueño” in “Poeta en Nueva York”).
Così, lo dico a Sophie e lei mi spiega così:
«Questa opera si chiama Vanitas del Giorno e le farfalle sono il simbolo della “vanitas” (…) perché bellissime, ma anche fragilissime (…).
L’opera è fatta con pigmento puro che macino personalmente per creare le sfumature (…)
Le farfalle sono il simbolo della caducità della bellezza (…) frantumi di fragili ali colorate (…) è come se elementi della vita, della relatà quotidiana, entrassero nel gioco della metamorfosi».
A questo punto, mi congedo da Sophie e salgo al I piano, dove incontro il secondo artista: Marco Andrea Magni.
Qui, la prima opera a colpirmi è composta in realtà da tre pezzi e si trovano nel corridoio.
Con grande generosità, Marco accoglie la mia richiesta di spiegazioni e si offre come Cicerone:
«Quest’opera si chiama Parabola e riporta tre testi presi dal libro “Manifesti e programmi per l’architettura del XX secolo” di Conrads Ulrich (…) Spiegano un po’ la filosofia della mostra (…).
L’opera è l’ho composta usando carta da lettera e inchiostro di galla, che è un inchiostro naturale derivato dalla puntura d’un insetto sulla pianta e funge un po’ da catalizzatore (…).
Per me l’arte è un pretesto d’incontro (…). L’arte intesa come interazione dello spazio, con la sua storia e le persone che lo vivono in un divenire continuo (…)
Ad esempio, quest’opera si chiama Risvolto e la sua forma è un vaso, ma è fatto con battigia di spiaggia cruda (…) È delicatissimo e non può più contenere acqua, allora, diviene contenitore d'”altro” (…) si fa altro, evolve (…)
Inoltre, le due opere che si trovano proprio di fronte si chiamano Grain de Beauté (…) e riprendono i chiodi degli stampi in gesso del Canova (…)
Le due opere grandi a sinistra si chiamano Ora e sono composte da velluto e sabbia di clessidra (…) simbolo del tempo che passa, che scorre; ma anche d’un tempo che s’aggrappa a un corpo disperatamente (…).
È fondamentale avere la consapevolezza della storia e della storia dell’arte e noi abbiamo una grandissima tradizione che va rispettata (…) ovvio, ci deve essere rielaborazione, ricerca, attenzione alla bellezza (…) un’interazione costante tra passato e presente (…).
Quello che ho voluto significare è proprio il tempo dell’interazione (…) come è anche nel rapporto tra gli uomini (…)».
Così, ringrazio Marco e salgo al II e ultimo piano, dove trovo Valerie Krause, la terza artista di Materie, spazi, visioni.
Ugualmente, con grande simpatia, Valerie mi spiega l’esposizione:
«Il mio interesse principale è il concetto di assenza (…) Ciò che resta dona la forma.
Per esempio, prendiamo le due opere in ceramica (…) Esse sono appese al muro, da sole (…) La prima è stata tagliata e il pezzo centrale asportato (…) l’assenza e il contorno che resta è la forma.
Invece, la seconda è piena e allora è lo spazio che la circonda a divenire l’assenza.
Ora, vediamo le fotografie di fronte. Vedi, qui, possono esserci sia i punti che la trasparenza (…) dal presente all’assenza.
Infatti, parlare di assenza, non significa parlare di vuoto. È sempre materia. Non puoi evitare la materia.
Inoltre, una materia èmolto concettuale, fisica, visibile, ma è fatta anche di non-visibile (…).
La materia è sempre in movimento ed è un movimento che si crea anche nello spazio.
Ad esempio, la struttura in legno che è in terra (…) il legno è un materiale-modello, potremmo dire (…) ma la struttura è posizionata nello spazio e indica una via, un trasferimento (…) è vuota e i tagli indicano proprio il movimento (…) non è un pezzo unico.
In questa stanza, i pezzi comunicano tra loro nello spazio come punti di vista differenti di un paesaggio unico.
Infine, qua, dietro l’angolo, vedi, c’è quest’opera che si chiama Where To e simboleggia proprio un’indicazione o la richiesta d’una direzione (…) un movimento.
Inoltre, è gesso ed è stata usata la juta per renderlo più stabile e mantenere la sua tridimensionalità, ma al contempo è fragile, proprio per indicare l’assenza di stasi».
Concludendo, Materie, spazi, visioni è una bella mostra, che, come ho detto in apertura, va vista prendendosi e godendosi il proprio tempo e lasciando che le emozioni interagiscano con le opere e creino il loro movimento interiore.
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