Grasse risate, lacrime magre!: recensione allo spettacolo
HA DEBUTTATO STASERA AL FACTORY32
GRASSE RISATE, LACRIME MAGRE!
RECENSIONE ALLO SPETTACOLO
IRONIA, GROTTESCO E PARADOSSO
SBRICIOLANO I LUOGHI COMUNI IN GRASSE RISATE
REPLICHE:
DOMANI, 15 FEBBRAIO ALLE ORE 21:00
DOMENICA 16 FEBBRAIO ALLE ORE 16:00
di Elisa Pedini
Ha debuttato stasera sul palco del Factory32, lo spettacolo Grasse risate, lacrime magre!, di e con Paolo Faroni e Fabio Paroni.
L’acutezza e la tagliente ironia di Paolo Faroni non sono nuove ai miei lettori; ma, stavolta, con la buona spalla di Fabio Paroni, letteralmente, sbaraglia il pubblico.
Infatti, il prodotto che ci troviamo davanti è intelligente, complesso, sia nella struttura, aulicamente drammatica in 4 quadri, un prologo e un epilogo, che nel contenuto.
Precisamente, un climax vertiginoso, che ben si palleggiano i due attori, sale tra ironia e sarcasmo, passando per le fratture del grottesco, fino all’apice del mefistofelico, per poi vertiginosamente partire l’anti-climax che dal paradossale scende liquido al surreale. Geniale. Fine. Sipario.
Va bene, non c’è il sipario al Factory32, ma, faceva scena scriverlo.
In realtà, è proprio il luogo incantato di questo spazio teatrale che iperbolizza la relazione attore/spettatore, rendendo ancor più potente quanto si vede, o meglio, si vive. Inoltre, è questo spettacolo, per come è strutturato, a quasi esigere uno spazio raccolto, ove divenga facile passare e oltrepassare la “quarta parete”, interagire col pubblico, improvvisare.
Così, Paolo Faroni e Fabio Paroni, macerano, sbriciolano, fanno letteralmente a pezzi tutti i luoghi comuni che possano esistere sul teatro, sugli attori e sul mondo che gira loro intorno.
Indubbio che tra le grasse risate, promesse dal titolo e mantenute dallo spettacolo, di lacrime ce ne sarebbero da versare. In effetti, ne ho versate; ma per il ridere.
Esattamente, già dal prologo e da questi due attori che attendono d’iniziare lo spettacolo, in ritardo, l’ironia si fa sferzante, quasi a sfiorare la cattiveria.
Tuttavia, è questa società, fatta di frasi fatte, luoghi comuni e purtroppo, squallide realtà, a esporre il fianco e il duo Faroni-Paroni non esita a trafiggerla, senza mai scadere ai suoi livelli; ma senza neppure falsa pietà.
In un mondo fatto di superficialità, «chi ha studiato sta male» e si ritrova dopo tanto lavoro e un mese di prove ad andare in scena una volta sola e pure malpagato. Mentre uno si macera perché vorrebbe fare teatro impegnato, l’altro lo incalza perché è la tv-spazzatura a consentire i guadagni con «trenta repliche e una prova sola».
Così, l’uno parla di Drive In e Non è la Rai, l’altro del teatro di De Filippo. L’uno di Heidi e l’altro di Medea. L’uno di Lady Oscar e l’altro di Lady Macbeth. E niente, se sei un comico e vuoi lavorare, devi far ridere e la cultura parrebbe non far ridere. Almeno, ai più.
Poi, arriva lui, Ernest, giovane regista appena uscito dall’Accademia e guidato dal «fuoco dell’arte», col suo grande progetto di teatro e i suoi grandi sogni. Peccato che abbia appuntamento col Gianca, becero direttore artistico di teatri di provincia, dove quel che conta è fare cassa con commediole brillanti e becere quanto lui. Ne consegue che il grande progetto teatrale del giovane si sciolga come le ali di Icaro; ma, naturalmente, il Gianca non esita a sfruttare la povera creatura appena gli fa comodo.
Tuttavia, è davvero Gianca, il temibile Mangiafuoco ed Ernest la sua vittima, o sono piuttosto entrambi schiacciati dalla perversa macchina del mondo dello spettacolo, oppure essa stessa è stata tratta schiava da una società dove «non è più il tempo dei personaggi, le persone vogliono essere protagoniste»? In tutto ciò, c’è del mefistofelico ed esattamente così termina il quadro.
Dalla prostrazione faustiana dove «Le cose resteranno per sempre», si passa nel paradosso del nuovo quadro.
Qui, due vecchi compagni di scuola si reincontrano. L’uno fa il dentista e l’altro l’artista di strada. In questo mondo alla rovescia, il primo, disonore della famiglia dove il padre clown e la madre ballerina lo avrebbero voluto artista, vive di stenti; il secondo, è ricco sfondato e vive nell’agio.
Infatti, tutti i luoghi comuni sugli artisti quali la dissolutezza, la precarietà, il vivere di espedienti, vengono rovesciati sui “lavori veri”, quali il dentista, l’avvocato, il notaio.
A questo punto, come ho detto, quasi in un fluire liquido, dal paradosso si passa al surreale.
L’ultimo quadro, mi ha rammentato un certo cinema d’essay, o il cinema indipendente d’un Jim Jarmusch in Coffee and cigarettes.
Tuttavia, in quello stile anni ’70, in quell’atmosfera da trasandato intellectual-snob, nelle pause lunghe e sconclusionate, nei movimenti lenti, nel dialogo surreale, la realtà viene di nuovo a galla nella scelta dell’uno di restare fedele al teatro e dell’altro di sposarsi e avere un «lavoro vero» e il teatro resterà quello che per gli altri è il calcetto: un passatempo.
Concludendo, Grasse risate, lacrime magre! è uno spettacolo decisamente consigliato: solido, convincente, dal ritmo sostenuto, che argomenta, attraverso dialoghi brillanti, tempi teatrali perfettamente calcolati e sagace arguzia, problematiche reali e anche piuttosto delicate.
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