It’s not over: recensione al film
IT’S NOT OVER
RECENSIONE AL FILM
UN FILM PARTICOLARE E DALLA REGIA INTELLIGENTE
ORA DISPONIBILE ON DEMAND SU CG tv E SULLE PIATTAFORME PRIME VIDEO, iTUNES, APPLE tv, GOOGLE PLAY
di Elisa Pedini
It’s not over co-produzione Italia-Gran Bretagna di VARGO con Streamdigital e Sound Art 23, distribuito da GC Entertainment, è ora disponibile On Demand su CG tv e sulle piattaforme Prime Video, iTunes, Apple tv e Google Play.
Per la regia di Alessandro Riccardi, al suo esordio in un lungometraggio e interpretato da Gianni Capaldi, Weronika Rosati e Christopher Lambert.
It’s not over è un film molto particolare, giocato su una regia sapiente che fa un uso straordinario e molto intelligente di luci, colori e fotografia.
La trama, di suo, non offre particolari spunti innovativi e a voler fare i critici pignoli, in certi punti scricchiola, eppure il film è un buon prodotto, molto piacevole che mi sento di consigliare.
Molto in breve, vi racconto la storia, perché prediligo focalizzare la critica su quegli aspetti geniali che fanno di It’s not over un film convincente.
Max e Sarah sono amanti. Il marito di lei, Albert, è medico e lei parrebbe la classica moglie frustrata e abusata psicologicamente e fisicamente. Quanto meno, questo è ciò che lei fa credere a Max.
Il telespettatore non ha realmente modo di comprendere il rapporto moglie-marito, punto primo perché si entra nella storia in medias res e poi, perché, a parte una lite furibonda tra coniugi, Albert fa un grosso piacere a tutti i protagonisti morendo praticamente subito perché scivola in casa. O così, pare.
Dunque, porte aperte ai due amanti che possono vivere allegramente la loro storia. Tuttavia, Max comincia a nutrire dubbi e qui la faccenda si complica.
Come scritto, a fare la differenza e a donare a It’s not over quel quid in più, decisamente valevole, non è tanto la storia, quanto come questa ci viene raccontata e proposta, attraverso alcuni aspetti tecnici utilizzati ad arte che vanno a fare leva e presa sulla psiche del telespettatore.
Questo film gioca tutto su: colori freddi, ambientazioni cupe che nulla invidierebbero a un Gothic Novel, asetticità, distacco.
Gli elementi per creare una suspense ad alta tensione ci sono tutti; ma sono utilizzati in maniera talmente intelligente, calmierata e ben dosata che il telespettatore non si accorge di venirne travolto; anzi, la sensazione conscia è proprio quella di totale distacco, che induce più a elucubrazioni cervellotiche sul comprendere chi sia il killer psicopatico, piuttosto che a una compartecipazione agli eventi narrati.
Mi spiego perché ha veramente del geniale.
Luci fredde e radenti, colori freddi, locali spogli, asettici.
Di fatto, la location non parrebbe rappresentare, in apparenza, la personalità di nessuno dei personaggi coinvolti.
In apparenza.
Il distacco psicologico è totale.
La sensazione comunicata è il gelo.
Infatti, sono proprio gelo, distacco, indifferenza, disagio, narcisismo a devastare l’anima e la psiche del killer.
Quindi, è giusto che il telespettatore provi, inconsciamente, esattamente queste emozioni perché sappia riconoscerle ed evocarle in maniera conscia, quando si troverà a doverci fare i conti.
In questa casa, che sembra uscita dalle pagine di Ann Radcliffe, tra un corridoio spettrale dove ci si attende il materializzarsi delle gemelline di Shining da un momento all’altro e un arredamento a dir poco psicotico, fa eccezione la cucina, che, attenzione, però, è solo un angolo e sempre defilata in un angolo dell’inquadratura rimane. Geniale!
Esattamente, quell’angolo, è l’unico luogo della casa dove la luce è forte, calda, accogliente, familiare; ma, in quel luogo, non ci si entra. Non ci entrano i personaggi, se non di giorno con luce fredda. Soprattutto, non ci entra il pubblico.
Qui sta il genio: il telespettatore non entra in quel luogo, come non entra nei personaggi, come non entra nella trama, perché è proprio questo che deve avvenire.
Il regista crea la spaccatura prima dentro alla testa del pubblico e poi, rivela la frattura psichica dei protagonisti.
Quel senso di calore, di casa, di famiglia, non ha proprio niente a che vedere con la psicosi e la malattia, pertanto deve restare “fuori” e di fatto, ci resta.
Ora, tutto questo avviene nel cervello del telespettatore senza che lo realizzi in maniera smaccata.
A un certo punto, questa tensione creata nel pubblico porta a supposizioni plurime e non si comprende più se sia Sarah il problema, come teme Max, o se non sia piuttosto Max, il vero psicopatico.
Persino quando lei va ad aprirgli la porta con un simpaticissimo coltellaccio alla Misery, si resta in dubbio.
Ciò perché, ciò che si vede, è una donna serena e un uomo in evidente stato di ansia crescente. Ma, allora, dove sta il vero?
Ecco che il lavoro sulla psiche del pubblico comincia a dare i suoi frutti.
In particolare, il gioco in bilico tra normale e paranormale mai del tutto chiarito, anche questo degno d’una Radcliffe, non reggerebbe un solo istante senza questa costante e sapiente preparazione della psiche del telespettatore che, calato dentro a un’ambientazione estraniata ed estraniante, riesce perfettamente a seguire gli eventi e il loro tragico dipanarsi.
Concludendo, un film che va osservato e gustato nel dettaglio, godendo di queste caratteristiche di pregio, usate con sapienza e veramente rare nella cinematografia.
Lasciandosi guidare dalla maestria del regista, il film risulta piacevole e anche globalmente solido, per una buona serata di relax e di cinema.
Image gallery per gentile concessione US VARGO: