Al cinema L’uomo che disegnò Dio
L’UOMO CHE DISEGNÒ DIO
RECENSIONE AL FILM
UN FILM RETORICO MA POETICO E INTELLIGENTEMENTE DIVERTENTE
IN SALA DA OGGI 2 MARZO 2023
di Elisa Pedini
L’uomo che disegnò Dio prodotto da Louis Nero per L’Altrofilm insieme al produttore americano Michael Tadross JR, Bernard Salzman e al russo Alexander Nistratov con le case di produzione Tadross Media Group e BullDog Brothers, in collaborazione con Rai Cinema in sala da oggi, 2 marzo 2023, è un film ispirato a una storia vera.
Per la regia di Franco Nero, che torna per la seconda volta dietro alla cinepresa, nonché protagonista principale, risulta un film convincente e da vedere.
La sceneggiatura scritta a sei mani, dallo stesso regista con Eugenio Masciari e Lorenzo De Luca risulta ben calibrata tra realismo e poetica, seppur un po’ retorica, alle volte un po’ eccessiva, ma nel complesso convincente.
Trattandosi di vita vissuta e vantando un cast di notevole pregio, la regia così come l’uso delle luci e della fotografia non ricorrono a particolari espedienti.
Finalmente, a fare il film sono gli attori e sempre gli attori fanno le azioni. Una sorta di teatro nel cinema e questo è tanto raro quanto decisamente valevole.
Qui, mi piace indulgere sull’interpretazione straordinaria di Franco Nero, nel ruolo del protagonista, Emanuele Assuero, che regge tutto il film.
Emanuele è un uomo anziano, solo e divenuto cieco da ragazzino a causa di una malattia ereditaria agli occhi. Ama Van Gogh, suona magnificamente il duduk, uno strumento armeno e insegna disegno dal vero alla scuola pre-serale. È una sorta di Schopenhauer del nuovo millennio: «allergico alla felicità», sarcastico, intelligente, tagliente.
In particolare, Emanuele ha un dono divino: egli è capace di percepire le anime, di vedere con gli occhi della mente e dell’immaginazione ed è così che è in grado di ritrarre le persone soltanto sentendole parlare.
Tuttavia, questo dono lo conoscono in pochi, tra cui Pola, l’assistente sociale che gestisce l’associazione della scuola pre-serale.
Un giorno a scuola arriva Iaia una ragazzina di dodici anni immigrata in Italia con la madre Maria.
La bambina resta subito affascinata dal suo insegnante perché trova lo schizzo d’un suo ritratto nel cestino della carta a fine lezione.
Per una serie di coincidenze, Emanuele finisce per ospitare in casa entrambe.
Non si può non amare Emanuele, non stimarlo e non desiderare d’aiutarlo, perché l’uomo, oltre che al suo dono divino, ha anche un sogno dentro al cuore. È proprio questo spirito entusiastico che spinge Iaia a filmare Emanuele mentre fa un ritratto a un alunno e postarlo.
Il video diventa virale e una trasmissione da saltimbanchi, come tante, troppe, purtroppo, ce ne stanno oggi, lo ingaggia. È la gloria. Tanto per la trasmissione, che non a caso si chiama Talent Circus, quanto per Emanuele.
Mi piace molto qui sottolineare l’ironia sferzante con cui viene mostrato un certo tipo di programmi televisivi per un verso e la capacità di Emanuele di restare se stesso, sempre, nonostante tutto, fino all’ultimo.
Numerose le vicissitudini che si aprono e che ci offrono il piacere di godere di altri mostri sacri della recitazione, come una splendida Faye Dunaway, nel ruolo di Natasha, ex insegnante di braille e di musica di Emanuele. Ora, in una casa di riposo per anziani. Poche, ma straordinarie scene le sue.
Oltre a un incredibile Kevin Spacey, intenso da bucare lo schermo.
Ironia della sorte, torna sugli schermi nel ruolo d’un commissario di polizia, un po’ mulo, che indaga su una presunta molestia a una bambina.
In più, un magistrale Massimo Ranieri che ci delizia con le scene più piene e decisamente meglio riuscite di tutto il film. Semplicemente, divino.
L’uomo che disegnò Dio è decisamente un film che va gustato, apprezzato in ogni singola scena, proprio per l’arte attoriale che ci consente di godere d’un prodotto decisamente valido.
Completano il cast: Stefania Rocca, Robert Davi, Diana Dell’Erba, Vittorio Boscolo, Simona Nasi, Andrea Cocco, Diego Casale, Wehazit Efrem Abraham, Isabel Ciammaglichella.
Infine, mi piace sottolineare le tematiche impegnate che vengono toccate: dall’handicap, all’inclusività, all’alienazione tecnologica, al degrado d’un certo tipo di televisione.
Certo, come detto in incipit con un po’ di retorica e in certi punti un po’ troppo ripetitivamente; ma questo non toglie valore al prodotto in sé proprio per la profondità poetica e il cinismo divertente, ben dosati in base alle circostanze e alle tematiche.
Altresì, in L’uomo che disegnò Dio viene con maestria e toccante profondità presentata anche la tematica delle malattie degenerative nell’anziano.
A tal riguardo, sublime la riflessione di Emanuele ricordando la madre malata e ormai incapace di riconoscerlo: «…io c’ero ma non ti vedevo mamma, tu mi vedevi ma non c’eri più…». Davvero, molto toccante.
In conclusione, L’uomo che disegnò Dio è un film che mi sento decisamente di consigliare.