PILLOLE DI: James Joyce

PILLOLE DI:

 

LETTERATURA INGLESE

 

 

JAMES JOYCE

 

 

ODIA DUBLINO; MA L’AMA CON TUTTA L’ANIMA.

VIVE CON CORAGGIO; MA È PIENO DI FOBIE.

COME UN GENIO VIVE IL SUO TEMPO E DIVENTA UN MITO.

 

 

 

di Elisa Pedini

 

 

James Joyce rappresenta una pietra miliare della letteratura del XX secolo e questo è.

In realtà, non raggiunse il plauso con facilità. Tutt’altro.

Uomo di rara intelligenza, fu unico per molti aspetti. La sua personalità profonda, anticonformista e complessa, s’imprime nelle opere.

In particolare, in questo caso, prendiamo in considerazione il primo Joyce e la genesi di Dubliners fino alla loro tanto sofferta pubblicazione.

Dunque, mai come in questo caso, diventa vitale capire James, o la sua opera resterà qualcosa d’impenetrabilmente criptico.

Infatti, il rapporto contraddittorio con la sua città natale, così come i temi principali dell’opera: paralisi e fuga possono essere compresi solo partendo dalla vita vissuta.

James nasce a Dublino nel 1882, da famiglia borghese, benestante, profondamente cattolica, dalle idee liberali e autonomiste. La sua intelligenza vivace e critica si mostra subito e la famiglia vuole riservargli gli studi migliori. A soli 9 anni scrive il suo primo saggio politicamente impegnato.

Perché è importante in questo caso sapere e ricordare quanto testè scritto? Andiamo a vederlo, molto rapidamente.

Primo: Dublino.

Città antichissima e fiera, ma troppo vicina all’Inghilterra e alle sue mire espansionistiche. Tra il XV e XVI secolo i Tudor allungano definitivamente le zampe sull’intera Irlanda. Molto in breve: la politica coloniale inglese è violenta e oppressiva a qualsiasi livello: da quello amministrativo, a quello politico, a quello religioso. Così sarà ovunque e l’Irlanda è solo l’incipit. Nel tempo la situazione non migliora di certo.

Peccato che l’anima ancestrale dei locali sia libera e i valori di appartenenza, religiosi e politici ne costituiscano parti profonde e fondanti. Questo crea una spaccatura interiore.

Alla data del 1880, Dublino è una città spaccata perché spaccate sono le anime che la compongono. Le pulsioni forti, uguali e contrarie portano a un’inevitabile contrapposizione, quindi, all’incapacità di scegliere, alla paresi.

Da un lato, un forte desiderio di ribellione e liberazione, che anima. La fuga, la liberazione: lui la chiamerà «epiphany».

Dall’altro, la prostrazione della miseria e la disperazione del sentirsi in gabbia, senza via di scampo, che annientano. James Joyce la chiamerà «paralysis».

Ora, vediamo il quadro economico. Uguale.

Per un verso, Dublino espande territorialmente per il continuo flusso migratorio dalle campagne verso la città.

Per l’altro, le pochissime industrie non riescono a coprire la domanda. Conseguenze ne sono: un tasso di disoccupazione altissimo, economia in crisi, quartieri fortemente degradati.

Socialmente parlando, il quadro è chiaro: miseria estrema e disperazione che portano a depressione, alcolismo e degrado sociale. Dublino diventa famosa per il più grande e migliore quartiere a luci rosse.

In conclusione, non è poi erroneo dire che Dublino, in questo momento storico, sia un immenso bordello, in senso stretto e lato.

Secondo: la famiglia.

Purtroppo, il padre perde il lavoro ed è il principio d’un declino inesorabile che vedrà l’uomo diventare un alcolista e la famiglia cadere in disgrazia. Da una situazione sana e benestante, a una di ristrettezze e disagio.

Tutte queste contraddizioni, James, figlio del suo tempo e della sua realtà, le porta dentro e le incarna.

Tuttavia, egli continuerà a studiare solo grazie alla sua intelligenza e ai suoi eccellenti risultati, fino a laurearsi in Lingue moderne.

Inoltre, in tal contesto, la sua indole già acuta, critica, anticonformista, acuisce. Si fa notare, già all’università, per le sue posizioni libere che esprime andando anche apertamente contro alla “massa”, all’ipocrisia dell’etica e della religione. Scrive articoli, saggi e tiene conferenze.

In questo periodo, James Joyce sperimenta un certo modo di comunicare l’esistenza: lui lo chiamerà epiphany.

Essa costituisce la caratteristica prima dei racconti di Dubliners. È il principio della rivoluzione letteraria.

Perché rivoluzione? Semplice, com’è noto, l’intellettuale è l’antenna parabolica dei malanni della società in cui vive. Se siete arrivati a leggere fin qui, dovreste aver chiero che i parametri sociali si siano sovvertiti.

E allora, domando: poteva un genio come Joyce, anticonformista di natura, perseguire i parametri finora sostenuti?

Infatti, fino a questo momento, lo scrittore ha costruito i suoi intrecci attingendo dalla vita reale e da un sistema di valori che era patrimonio comune tra autore e lettore. Ciò che accadeva nella vita fittizia del personaggio doveva manifestarsi in simboli pubblici e comunemente condivisi, riverberandosi sulla tecnica e sulle tematiche dei romanzi.

Tuttavia, lo smarrirsi di questa fiducia nell’esistenza di un sistema di valori comune e di una valutazione universalmente condivisa su ciò che abbia importanza o meno nell’agire umano, porta a un cambiamento di prospettiva.

In tal senso, ben si spiega Virginia Woolf, coetanea londinese di Joyce, interrogandosi su cosa sia la realtà: «(…) Si direbbe che la realtà sia qualcosa di molto bizzarro e infido; (…omissis…) è un bagliore che illumina un gruppo di persone in una stanza e s’imprime in una frase casuale (…)».

Esattamente, l’epiphany indica l’intuizione repentina, il subitaneo realizzare, la lucida presa di coscienza, derivata da un banale avvenimento, o oggetto, o situazione del quotidiano che acquisisce un profondo significato emblematico.

James Joyce è l’unico che sceglie di basare il suo schema narrativo sulla rappresentazione di un mondo che non dipende più da alcun singolo criterio di valutazione, in cui tutti gli elementi si compenetrano totalmente.

Ne consegue che lo stesso avvenimento, o personaggio risulti importante, o insignificante in base ai mutevoli atteggiamenti e ai differenti stili narrativi adottati dallo scrittore. Il punto di vista non è più quello di chi scrive; ma moltiplica per quanti sono i personaggi.

Inoltre, su Joyce inciderà la nuova concezione di “tempo”, complici Williams, Bergson, ma soprattutto Proust. A contare è il tempo interiore.

Nel 1904, James Joyce scrive la prima stesura del Portrait senza riuscire a pubblicarlo e tre racconti: The Sisters, Eveline e After the Race che pubblicherà sfusi in una rivista; ma che rientreranno in Dubliners.

Nello stesso anno, decide di lasciare Dublino con la moglie Nora e vanno a Trieste.

Città questa ove vivrà a lungo, seppur a singhiozzo e dove conoscerà Italo Svevo con cui intreccerà un’amicizia che durerà tutta la vita.

Tra il 1905 e il 1906 scriverà altri 11 racconti. Nel 1907, scrive l’ultimo, nonché il più lungo: The Dead.

Joyce stesso indicherà una divsione in gruppi dei 15 racconti che formano i Dubliners, sulla base dei protagonisti.

I primi tre racconti: The Sisters, An Encounter, Araby sono visti attravero gli occhi di bambini e appartengono alle Stories of childhood.

I successivi quattro racconti: Eveline, After the Race, Two Gallants e The Boarding House costituiscono le Stories of adolescence.

I racconti A Little Cloud, Counterparts, Clay, A painful Case Joyce li identifica come Stories of mature life.

Infine, gli ultimi quattro: Ivy Day in the Committee Room, A Mother, Grace e The Dead vanno a formare le Stories of public life.

Nonostante Joyce scriva i racconti a Trieste, dell’Italia non v’è traccia. Unici protagonisti: Dublino, con le sue vie, i suoi locali e soprattutto la sua gente. Così sarà tutta l’opera di Joyce. Un tributo, seppur impietoso, alla sua città.

Tuttavia, amare qualcosa o qualcuno non significa non vederne i difetti, o peggio, negarli. Al contrario, amare significa tenere nel cuore nonostante tutto.

Sin dal 1905, quindi, ben prima del termine della stesura completa dell’opera, Joyce tenta di pubblicare i racconti collettivamente, ma incontrerà solo tanta frustrazione.

Il calvario dura dieci anni tra proposte inaccettabili di pubblicazione parziale e rifiuti secchi. La verità è che la visione spietatamente realistica dell’anima umana dà fastidio.

In quella spinta verso la liberazione e nel recedervi sistemico, si leggono troppo chiaramente quei limiti che nessuno vuole ammettere.

In particolare, The Dead mostra già quella che sarà la tecnica narrativa dell’Ulysses: lo stream of consciousness. Scrittura difficile, complicata, sfidante.

Finalmente, nel dicembre del 1913, la svolta.

Il poeta americano Ezra Pound contatta Joyce perché vuole pubblicare alcuni suoi versi. Nello scambio epistolare che segue, Joyce gli invia anche quanto aveva scritto senza mai essere riuscito a pubblicare.

È l’inizio d’un’amicizia importante e durevole e soprattutto, l’inizio delle pubblicazioni dei capolavori di James Joyce.

Da qui, il suo Portrait of the Artist as a Young Man che ha appena finito di limare, viene pubblicato a puntate sulla rivista letteraria inglese The Egoist.

Nel 1914, la casa editrice Grant Richards pubblica i Dubliners, in versione integrale di raccolta di racconti, così come li leggiamo oggi.  

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