PILLOLE DI: Vincenzo Monti

PILLOLE DI:

 

LETTERATURA ITALIANA

 

 

VINCENZO MONTI

 

 

POETA DEL NEOCLASSICISMO PAPALE

ATTRAVERSA IL TEMPO DALL’ETÀ RIVOLUZIONARIA AL MANZONI

 

AL DI FUORI DEI GRANDI NOMI

UNO SPACCATO DELLA SITUAZIONE LETTERARIA

E DEGLI INTELLETTUALI MEDI ITALIANI

 

 

 

 

di Elisa Pedini

 

 

Finora ci siamo occupati di geni assoluti, di colossi incontrastati.

Tuttavia, il panorama intellettuale italiano è composto da numerose figure di media caratura, che hanno contribuito alla letteratura italiana e che meglio definiscono l’ordito del vissuto.

Sicuramente, Vincenzo Monti è tra queste.

Innanzi tutto, vediamo la situazione italiana rispetto alla Francia.

Ciò per procedere sulla logica del fil rouge e non certo perché la Germania sia da meno, anzi.

Mentre in Francia il Neoclassicismo, esiste e segue con logica gli sviluppi politici e sociali, in Italia non sembra in alcun modo essere messo in discussione dai nuovi assetti politici e la sua influenza risulta essere determinante a prescindere dalla posizione degli intellettuali: a favore, contro, indifferente.

Perché questo?

Dunque, la Francia è una potenza con un’identità di lingua, di territorio e di popolo molto ben determinata che risale alla prima metà del secolo 800.

Con il periodo della Rivoluzione, il classicismo accentua i suoi toni e in un certo senso li radicalizza nel concetto di “virtù” degli antichi: libertà, lealtà, onore.

Il popolo francese è sotto la guida d’un carciofaro, l’ennesimo, che mette definitivamente in ginocchio lo Stato, non sa evolvere e schiaccia il popolo, che, al contrario, tira la carretta. Quindi, il popolo alza la testa, inneggia a valori e ideologie precise e li pretende. Gli stessi valori degli antichi. Naturalmente, gli intellettuali si fanno voce di tutto questo. Il Neoclassicismo risponde in pieno.

Poi, Napoleone giunge, distruggendo le speranze politiche; ma non le menti, né le idee. Quelli non possono essere più fermati.

Col regime napoleonico, esso diviene una sorta d’arte ufficiale, astratta e celebrativa, finendo per seguire l’involuzione del regime stesso.

Ecco, che la bellezza classica offre nuove, complesse, capacità di conoscenza e penetrazione della realtà contemporanea e qui, sì, che la letteratura tedesca gioca un ruolo determinante.

Quest’ondata di vita viene registrata e con essa la ricezione del concetto che proprio nella scompostezza delle passioni v’è vita. Volendo parafrasare i classici si passa da un Bello Apollineo, a un Bello Dionisiaco.

In Italia, la questione è ben diversa.

Qui, s’è conosciuta un’identità florida, ma sclerotizzata solo coi Comuni e le Signorie del 1500. A fine di tal secolo, iniziarono le invasioni e tutto finì. La lingua è frantumata in un miliardo di dialetti diversi, non c’è territorio unico, non c’è un popolo, ma brandelli dello stesso. Questo è.

L’intelligentia italiana è costituita da un manipolo di anime e qualche picco di genio.

Dunque, che cosa può registrare il letterato? Che cosa può fare l’intellettuale?

Ecco, la continuità rigida della tradizione classica, in quel periodo di profonde trasformazioni, resta l’unico modo per affermare la persistenza d’una qualche identità nazionale e distinguere, al fine, l’Italia dal resto d’Europa.

Tuttavia, è una distinzione che la tiene ferma al palo, la cristallizza, l’imprigiona dentro a una tradizione, giusta sì, uniforme sì, ma che ormai è stanca di tenere le redini, consunta dalle troppe battaglie, muta innanzi agli eventi.

Qui, si potrebbe accennare a una controtendenza importante tra arti: dove la letteratura langue, le arti visive impennano; ma non è il contesto.

Invece, torniamo ai letterati e ai due opposti della sensibilità neoclassica: Vicenzo Monti, sicuramente colto, ma di media caratura e Ugo Foscolo, il picco di genio.

Invero, i due si conoscono e sono pure amici. All’inizio.

Dove l’uno, abile mediatore tra forme, atteggiamenti e scelte letterarie in base al vento che tira. Molto attento a mantenersi in equilibrio assumendo posizioni moderate e ufficiali, assicurandosi così il suo posto intoccato e longevo, senza mai disturbare chi comanda. E la parola diviene piacere puro, ornamento; ma fine, niente più.

Per contro, l’altro, dove un’intelligenza acuta ribolle, trasferendosi, quasi cavallinamente, all’anima e non teme lo scontro, l’opposizione. Come tutte le grandi menti, non è solo pronto a scegliere e a schierarsi; ma ha l’animo indomito di chi quella scelta la porta fino in fondo, pagandone le conseguenze. Proprio come i latini: sine metu usque ad metam. E la parola si fa ricerca costante di lirica pura, ma onusta di densità storica e di valori.

Ecco, le trame dell’ordito del vissuto quotidiano è più vicino a quello d’un Vincenzo Monti e di tanti come lui, che, come tutti gli intellettuali, se ne fanno i portavoce.

Quindi, andiamoci a vedere cosa fa il Monti.

Intanto, col suo fare di intellettuale-letterato passa i momenti storici più impattanti totalmente indenne, mantenendo buoni rapporti con tutti e ottenendo conseguenti riconoscimenti con scontata impennata del suo prestigio letterario.

Inoltre, gli va riconosciuta almeno la fedeltà alla tradizione umanistica. Egli sa perpetrare l’immagine del letterato cesellatore della parola perfetta e costruttore della forma elegante, che, però, mette al servizio del dominatore di turno.

Così, la sua arte passa dal modello per una società aristocratica ed ecclesiastica, a quello per una società alto-borghese e aristocratica con iniziative borghesi.

Altresì, a Vincenzo Monti va il merito d’aver, così facendo, portato la tradizione verso una maggiore laicizzazione, rivitalizzandola esclusivamente nella forma con la sensibilità contemporanea.

Tuttavia, ciò non toglie che, letterariamente parlando, la sua produzione resti mediocre e totalmente vacua.

Tanto che camperà fino a 74 anni, età veneranda per il tempo.

Dunque, uomo molto colto, studia in seminario e non manca di dialettica spiccata.

Pertanto, animato di fortissima ambizione, non esita a trasferirsi a Roma.

Qui, immediatamente, si dà alla vita mondana, frequentando salotti aristocratici e alte cariche ecclesiastiche e ponendosi subito come “poeta di corte” pronto a offrire loro i suoi versi.

Nel 1779 pubblica Saggio di poesie, ove raccoglie la sua intera produzione poetica. Segue una serrata serie di componimenti che fanno di lui la voce poetica della Roma papale.

Ne consegue che divenga Poeta ufficiale del classicismo papale.

Contemporaneamente, ottiene un buon matrimonio con l’attrice Teresa Pickler e un posto come segretario del duca Braschi, niente po’ po’ di meno che il nipote del Papa: Pio VI. Evvai!

Pur tuttavia, nel mentre, la Rivoluzione francese ha dato uno scossone parecchio forte all’Europa, creando una spaccatura ideologica insanabile e questo ai potenti è ben chiaro.

Da camaleonte qual è, Vincenzo Monti, comprende che è bene, sempre con accortezza e moderazione estreme, fare il simpatico con gli illuministi giacobini, perché non si sa mai qual vento tirerà e quanto potente potrà essere la ripercussione in Italia.

Però, immediatamente dopo e per gli anni subito successivi, a Roma regna un forte turbamento per gli eventi e questo porta il Monti a farsi interprete di tale orrore con un poema d’attualità: Bassvilliana, che, seppur incompiuto, ha un grande successo.

Tuttavia, si tratta d’un poemetto in terzine, di cui, per fortuna, compone solo quattro canti.

Di fatto, si basa su una notizia d’attualità: l’assassinio d’un repubblicano francese a Roma, tal Joseph Hugou, detto Bassville. Il Papa s’accolla le spese del funerale e del mantenimento della famiglia. Vincenzo Monti s’immagina questo tipo scortato da un angelo a vedere gli orrori della Rivoluzione sulla terra.

Invero, è tutta una manovra per esaltare la pietà e la carità cristiane, contro la crudeltà sanguinaria della Rivoluzione.

Non basta. La vita fortemente mondana lo espone comunque a dubbie frequentazioni.

Stavolta, qualche sospetto di giacobinismo comincia ad aleggiare su di lui.

Onde evitare, fugge, di notte e va a Milano.

Qui, entra in contatto con l’intelligentia rivoluzionaria ed entra nel giro delle frequentazioni di Ludovico di Breme, Silvio Pellico, Vincenzo Cuoco, Ippolito Pindemonte, ecc.

In breve diventa poeta ufficiale della Repubblica Cisalpina.

Purtroppo, i dominatori francesi cadono e lui ripara a Parigi.

Ma, con Napoleone, rientra in pompa magna a Milano.

Viene nominato professore d’eloquenza e poesia, nonché Poeta del Governo, per culminare con la nomina d’Istoriografo del Regno.

Di fatto, instaura una vera e propria dittatura letteraria sull’Italia napoleonica.

Si fa portavoce diretto, nonché esecutore dei programmi culturali del regime.

Come letterato?

Mediocre, pubblica una quantità infinita di scritti celebrativi di cui nessuno porterà memoria.

Di questo periodo, dato che guadagna in maniera spropositata, ma di tempo libero ne ha da vendere, si dedica alla traduzione dell’Iliade. Ecco, questa, di sicuro pregio.

Con la Restaurazione austriaca, perde tutte le cariche.

Ma, naturalmente, cambia pelle, proponendosi, di nuovo, come guida e mediatore della Milano della Restaurazione, ovviamente acclamato da tutti perché è sempre bene non contraddire chi comanda.

Così, inizia un’altra era montiana. Conosce Madame de Staël, che lo definirà «premier poète d’Italie»; ma non certo per le sue doti letterarie, bensì proprio per quelle camaleontiche di sapersi adattare alle tendenze dominanti, per la sua capacità di mediatore tra il classicismo e le trasformazioni politiche, passate tutte indenne.

Conoscerà anche Lord Byron, Stendhal, Shelley. Fa parte dell’intelligentia milanese più in vista.

Nel dibattito tra classici e romantici, si schiera in difesa della tradizione classica, con particolare riferimento alla mitologia, seppur, attenzione, mantenendo sempre buoni rapporti con i romantici.

Tutt’altra stoffa rispetto al genio di Leopardi, imbattibile in intelligenza, acume e sue proprie tesi sostenute e con certezza, nessuna tema a schierarsi e confrontarsi.

 

 

 

 

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