PILLOLE DI: Stendhal

PILLOLE DI:

 

LETTERATURA FRANCESE

 

 

STENDHAL

 

 

INCOSTANTE, INDIVIDUALISTA, APPASSIONATO, LIBERTINO

ILLUMINISTA DI FORMAZIONE, ROMANTICO D’ANIMO, PRECURSORE DEL REALISMO

FRANCESE DI NASCITA, ITALIANO NELL’ANIMA

 

 

 

 

di Elisa Pedini

 

Arrigo BEYLE

MILANESE

SCRISSE

AMÓ

VISSE

 

Così volle la sua iscrizione funebre Stendhal, al secolo Henri Beyle, che oggi si trova al cimitero di Montmartre nel XVIII arrondissement a Parigi.

Rimasto orfano di madre a sette anni e in netta opposizione col padre, si lega moltissimo al nonno materno, d’origine italiana: tal Gagnon, francesizzazione del cognome Guadagni.

Infatti, è costui uomo di vastissima cultura, conservatore e personalità in vista a Grenoble: professore alla Scuola di medicina, medico tra i più stimati, occupa una posizione eminente nella società della capitale del Delfinato.

Inoltre, sua nonna gli racconta dell’Italia come un paese meraviglioso, lasciato da un suo avo, fuggito ad Avignone, a seguito d’un legato papale per dei crimini commessi.

Naturalmente, a una personalità vivace, energica, passionale, riottosa, ribelle e diciamocelo, scapestrata, come quella di Henri, la cosa piace assai e fomenta il suo amore ancestrale per il Bel Paese, tanto che lui si sente un Gagnon piuttosto che un Beyle. Lui si sente italiano. Da qui, dipenderanno molte sue scelte.

Terminati gli studi, va a Parigi per frequentare l’École Polytechnique e prepararsi a una futura carriera da ufficiale dell’esercito. In particolare, s’appassiona della matematica.

Tuttavia, si scoccia ben presto e molla tutto. Dicendo addio alla carriera da ufficiale.

Infatti, solo grazie all’intervento di suo cugino, Martial Daru, egli ottiene il grado di sottotenente ed entra nell’esercito.

Ne consegue che Stendhal venga mandato in Italia per raggiungere le truppe napoleoniche.

Così, gira l’Italia e ciò lo esalta; ma si sente frustrato nei suoi velleitarismi eroici perché, mentre lui sognava di distinguersi nell’esercito, di fatto, ha un grado troppo basso per i voli pindarici da stratega e viene relegato a mansioni semplici e di poca importanza.

Così, si scoccia un’altra volta e dà le dimissioni.

Quindi, torna a Parigi a fare assolutamente nulla.

Si dedica esclusivamente alla brama di conoscere divorando autori su autori, tra cui: Sofocle, Euripide, Virgilio, Dante, Shakespeare, Alfieri, Molière, Chateaubriand, Madame de Staël, Lord Byron, di cui tiene traccia e riflessioni sul suo Journal, ovvero il diario.

Invero, sempre nel suo velleitarismo, scribacchia cose, sognando di diventare il nuovo Molière, ma i risultati sono scarsi, anzi, proprio ciofeche.

Altresì, vorrebbe tanto dar seguito alla sua indole volubile e libertina; ma Madre Natura non gli ha voluto affatto bene. Inoltre, è anche molto timido.

Cosciente di ciò, almeno questo, si dedica ossessivamente all’aspetto scialacquando patrimoni in alta sartoria. La bellezza dell’abito e la curata manifattura devono coprire la bruttezza del corpo.

Esattamente, come la ragione e il cinismo devono coprire e regolare i moti dell’anima, i sentimenti.

Nel 1806, è di nuovo Daru a intervenire. Infatti, lo fa rientrare nell’esercito a suo diretto riporto come intendente.

Tuttavia, la caduta di Napoleone lo relega a vita privata. I Borboni lo mettono in pensione e lui si fa due calcoli. Con quel che prende e quel che spende, la vita a Parigi non gli par dunque consona. A Milano vivrebbe decisamente meglio.

Così, nel 1814, molla Parigi e si stabilisce a Milano.

Per Stendhal inizia un periodo diciamo florido, non tanto in produzione letteraria, quanto in amori vari, famosi quelli con Angela Pietragua e Métilde Dembowski Viscontini, salotti e conoscenze.

Indubbiamente, ha una personalità interessante: molto colto, ex militare, acuto e cinico osservatore del reale.

Infatti, è proprio a Milano che conosce Ludovico di Breme, Ermes Visconti, Silvio Pellico, Vincenzo Monti, Ippolito Pindemonte, Vincenzo Cuoco, Manzoni e molti altri intellettuali liberali.

Inoltre, è proprio a una cena a casa da Ludovico di Breme che incontra e conosce di persona il suo idolo: Lord Byron, che resterà affascinato da suoi racconti di vita vissuta.

Di fatto, è proprio questa la forza, intellettuale e letteraria di Stendhal: egli punta e centra tutto su di sé e nel momento in cui comprenderà questo appieno, sarà la svolta.

Stendhal ci dà lui stesso la formula della sua filosofia che è contemporaneamente una psicologia e una morale: le sue.

Secondo lui, lo scopo dell’uomo è la «chasse au bonheure»: la sua stessa caccia.

Esattamente, lui, così passionale ed energico, ricerca l’amore e la gloria. Questa è la sua felicità.

Così, stabilisce la dottrina di quell’individualismo sfrenato che diviene «égotisme», ovvero il culto dell’Io.

Egli ama e ricerca le passioni forti, i temperamenti ardenti, che s’impongono con l’energia. Stendhal addolcirà le sue mire di comando sugli altri proprio quando accetterà e abbraccerà il culto dell’energia debordante, che egli descriverà usando un termine italiano per descrivere tutto questo: «virtù».

Quest’arte di vivere, squisitamente romantica, prende il nome di beylisme.

Tuttavia, la sua formazione resta illuminista, il suo approccio razionale.

Dunque, secondo il beylisme, il mondo è un bacino di conoscenza da sfruttare e in tale ottica l’intelligenza deve farsi acuta, la sensibilità più raffinata e controllata, il gusto più sottile.

In conclusione, l’artista autentico sa che il miglior piacere consiste nell’osservazione, nell’analisi lucida, nella comprensione profonda della realtà circostante, nei suoi aspetti più sottili e nascosti.

Pertanto, egli si sforza d’analizzare in modo realistico e spesso ironico la realtà e da essa trae ispirazione.

Anticlericale, evita il lirismo e s’attiene al vero.

Ecco, che si stacca dal romanticismo e diviene precursore del realismo.

Stendhal dipinge i luoghi che conosce e controlla i sentimenti e le reazioni dei suoi personaggi. Non gli interessa descrivere la realtà a tutti i costi, ma piuttosto spiegare ciò che si nasconde dietro all’apparenza: i movimenti segreti che spingono gli uomini ad agire in quella, o quell’altra direzione.

Infine, prende come modello di scrittura il Code Civil per la sua sobrietà e compostezza.

Nel 1821, le sue frequentazioni con l’intelligentia italiana, di cui certi esponenti fortemente collegati alla Carboneria e della Massoneria, lo rendono sospetto agli occhi degli austriaci e deve lasciare l’Italia.

Così, rientra a Parigi, ma è un uomo totalmente diverso e principia la sua vera carriera letteraria.

Nel 1822 pubblica il suo primo capolavoro, il saggio psicologico e sociologico De l’Amour.

In quest’opera, Stendhal studia con un occhio scientifico la natura e le fasi dell’amore. Egli distingue quattro fasi d’amore: l’amour-passion, l’amour-goût, l’amour-physique, l’amour de vanité. La fase più importante dell’amore, che approccia subito nel primo libro, è quella che lui chiama «cristallisation», ovvero la fase dell’innamoramento in cui l’essere amato viene ricoperto di qualità indispensabili, che, però, di fatto, non ha.

Da qui, Henri Beyle diventa il grande Stendhal.

 

 

 

 

 

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