PILLOLE DI: Mary Shelley

PILLOLE DI:

 

LETTERATURA INGLESE

 

 

MARY SHELLEY

 

 

IRREQUIETA, INSTABILE, FRAGILE

LETTERARIAMENTE POCO DOTATA

COME MAI TANTO SUCCESSO?

 

 

LA RISPOSTA È NEL CONTESTO, COME SEMPRE

 

 

 

 

di Elisa Pedini

 

 

Al di là delle distorsioni, dei rimaneggiamenti pindarici, delle pure invenzioni che il cinema, per lo più pessimo, ha operato sul personaggio di Mary Shelley e sul suo primo e unico grande successo: Frankestein, or the Modern Prometheus; la scrittrice ha senza dubbio fermato un punto molto importante nella letteratura inglese.

Quindi, per apprezzare Mary Shelley, di cui si è già accennato relativamente al romanzo gotico, bisogna, innanzi tutto, spogliarsi di tutti gli inquinamenti subiti e approcciarla dal punto di vista letterario puro, contestualizzandola in maniera precisa.

Mary è una ragazza fragile, che cresce nell’ombra pesante di due personalità spiccate e in vista.

Primo: sua madre. Muore dopo aver dato alla luce Mary, a causa d’una setticemia; ma lascia un’eredità profonda.

Infatti, Mary Wollstonecraft, è scrittrice e filosofa, nonché donna libera e indipendente, nel pensiero come nella vita: non solo porta avanti i suoi studi in autonomia, ma si mantiene da sola.

Naturalmente, nota e stimata anche da Madame de Staël, altra figura femminile carismatica, colta e impegnata.

Infatti, la Wollstonecraft è in particolar modo ricordata per il suo impegno nel cambiare in maniera fattiva la condizione della donna. Con il suo Thoughts on the Education of Daughters si schiera già attivamente. Farà parte del circolo progressista londinese Johnson’s Circle, dove fra l’altro conoscerà il futuro marito.

In questo si differenzia dalla de Staël, che si limita a teorizzare e sicuramente, a vivere in maniera paritaria. Pur tuttavia, ciò confina le sue valide teorie a un mondo elitario.

Per contro, la Wollstonecraft, non si limita a vivere e scrivere, ma agisce in prima persona.

Il suo A Vindication of the Rights of Woman: with Strictures on Political and Moral Subjects, scritto in risposta al saggio di Burke Reflections on the Revolution in France, diventerà il Manifesto del movimento femminista e lei stessa sarà considerata la fondatrice del femminismo liberale.

Inoltre, approcciando in modo acuto e scientifico il problema, lo colpisce dritto al cuore: è l’ideologia che deve cambiare, quindi si deve insegnare la parità sin dalla scuola. Poi, procede con l’evoluzione politico-sociale (diritto al voto e all’impegno pubblico).

Secondo: il padre.

William Godwin, politico radicale e repubblicano, scrittore, filosofo, liberale, empirista, razionalista è personaggio molto in vista. Di formazione squisitamente illuminista, è però ispiratore profondo del Romanticismo per la sua spinta verso il pensiero libero e indipendente.

Di fatto, è il primo grande pensatore anarchico e nel suo masterpiece Enquiry Concerning Political Justice and its Influence on Modern Morals and Manners, scritto sempre in risposta al succitato saggio di Burke, egli delinea il suo ideale politico di anarchismo filosofico.

Inoltre, la sua filosofia influenzerà in maniera pesante non solo i pensatori, ma anche l’intera seconda generazione di poeti romantici: Keats, Shelley e Lord Byron.

In più, innamoratissimo della moglie, vivrà nell’esaltazione del malinconico ricordo di lei.

Molto in breve, questo è il contesto familiare.

Per un verso, Mary è molto colta e fortemente stimolata da un ambiente intellettuale; ma manca di quel quid per poterlo sviluppare.

Per l’altro, non possiede il carisma e il coraggio della madre, né la capacità analitica del padre.

Quindi, il forte contesto liberale e progressista in cui cresce, in lei si traduce in una non meglio identificata visione senza-freni del mondo e della vita.

Quando il “bello e dannato”, giovane, molto famoso e molto sposato, ma totalmente fuori di testa, Percy Bisshe Shelley giunge a casa Godwin, Mary ne è totalmente travolta.

Naturalmente, fuggono insieme; ma la vita al limite di Percy finisce per schiacciare la già fragile Mary che piomberà in un abisso di droga, depressione e psicosi varie.

Purtroppo, per quanto possa piacere la piagnucolosa travisazione cinematografica di quest’autrice minore, nessuno le usò violenza psicologica, la oppresse, o la plagiò.

Mary Shelley sceglie.

Disgraziatamente, sceglie una vita che, a differenza di Percy, non ha la forza di supportare e sopportare e sconta le conseguenze delle sue scelte.

In più, naturalmente, la vita non si risparmia di sicuro le palle curve disseminando eventi luttuosi e drammatici, che andranno a gravare ulteriormente sulla fragilità di Mary.

Per contro, il marito l’ama e l’amerà davvero e prova ne sia che, dal momento della loro fuga, non la lascerà mai, finché non muore, ovvio.

A tal riguardo, sappiamo bene che il volubile Percy è capacissimo di piantare in asso e andarsene: triste sorte che tocca a Harriet Westbrook, sua prima moglie, morta suicida nel 1816.

Per contro, Percy spingerà Mary a pubblicare, tutelandola, sempre.

Infatti, il Frankestein uscirà presentato da una prefazione firmata Percy Shelley. Tutte le pubblicazioni successive, passate sotto severo ma giusto silenzio, usciranno firmate come Mary Shelley.

Esattamente, Mary è figlia d’arte e potrebbe tranquillamente usare il cognome della madre o del padre per scrivere. Tuttavia, letterariamente parlando, Mary non sa scrivere e questo Percy lo sa.

Inoltre, sarà sempre Percy a prendersi cura di lei, delle sue psicosi, nonostante pure lui non è che con la testa ci stia proprio tutto e non da ultimo, le salverà anche la vita.

Non di meno, Mary amerà Percy follemente e questo è un fatto.

Personalmente, sostengo che i due fossero davvero fatti l’uno per l’altra.

Tuttavia, torniamo a ciò che le dà la gloria: il Frankestein.

Della sua genesi ne ho già parlato, quindi, tralascerò quanto già scritto e mi dedicherò ad approfondire aspetti più pertinenti all’interesse letterario.

Primo, sempre a scanso di equivoci da cinematografia di serie Z, nulla; ma proprio niente, nel Frankestein è autobiografico.

Forse, in Matilda troviamo qualcosa di autobiografico.

Ma, il dolore che Mary descrive e che ispira l’opera, non è quello della mogliettina bisfrattata, sola e sfigata; ma quello per la morte del figlio.

In più, forse, in The Last Man, troviamo ugualmente una fonte d’ispirazione diretta nella creazione dei personaggi principali; ma non è autobiografia.

Tuttavia, per quanto finalmente risulti meno sciatto e più coerente il modo di scrivere, resta sempre eccessivamente artificioso e pesante, nonché distanziante.

Dunque, un incubo, o così dirà Mary alla compagnia a Villa Diodati, le ispira il soggetto del suo racconto per la ghost-story competition che i ragazzi s’inventano per evitare di morire di noia.

Assolutamente probabile perché tra voli da oppio e droghe varie e dissertazioni scientifiche sul galvanismo ed elucubrazioni filosofiche, il manipolo di giovani si diletta assai.

Partiamo dalla struttura letteraria.

Scritto in forma epistolare quale scambio di lettere tra un amico del dr. Frankesteine e sua sorella.

Tuttavia, l’impianto risulta incoerente, a tratti confusionario. Il linguaggio è semplice, molto poco curato. Talvolta, sciatto. Altra caratteristica che aumenta la sensazione di confusione del romanzo.

Inoltre, non riesce a creare un ingaggio del lettore, sia a causa del senso di confusione, sia per lo stile in sé che, così volgare, non crea empatia col lettore.

Certo, ci sono apici lirici, come la descrizione della nascita della cretura, o il suo dolore straziante nel comprendere che non c’è posto per lui al mondo.

Ma, purtroppo, non vanno mai oltre la pagina e ciò non basta a definire un buon prodotto letterario.

Allora, dov’è la ragione di tanto successo?

Nel concetto che ripetutamente ho ribadito: non si può comprendere un’opera se si tralascia il contesto in cui vive chi la scrive.

Con merito, Mary Shelley si fa interprete di quanto più terrorizza la società in quel momento e lo trasforma in fatti spaventosi.

Novello Prometeo, il dr. Frankestein manipola la natura e all’apice della presunzione si sostituisce a Dio, dando la vita a una creatura ottenuta cucendo insieme pezzi di altri corpi.

Tale presunzione, si rivolta contro il dottore stesso e la società tutta.

Dunque, i problemi alla base del romanzo sono di natura scientifica, filosofica ed etica.

Qui, entrano anche in gioco Burke e il suo A Philosophical Enquiry into the Origin of Our Ideas of the Sublime and Beautiful, ispirato tra l’altro dal Paradise Lost di Milton per un verso; e Rousseau col suo Discours sur l’origine et les fondements de l’inégalité parmi les hommes per l’altro.

Infatti, la creatura, è l’incarnazione del sublime burkiano. Esso è legato al terrore, che ancor più s’amplifica quando è legato alla paura dell’uomo per antonomasia: la morte.

Tuttavia, la creatura, povera anima, è a tutti gli effetti appena nata. Non ha colpe. Non conosce male, non porta male.

Sopra ogni cosa, essa ha il diritto alla vita e al motore stesso che la genera: l’amore.

Esattamente, questo è ciò che gli viene negato: l’amore, ergo, il diritto stesso alla vita.

Infatti, Frankestein non gli dà vista per amore; ma per la stessa presunzione degli scienziati coevi di sostituirsi alla Natura, o addirittura a Dio stesso.

Inoltre, la creatura, sarà anche appena nata; ma non nelle dimensioni: è enorme e deforme.

Qui, entra in gioco la società e di nuovo, la negazione del motore della vita: l’amore, da cui il rifiuto, il disprezzo.

Ne consegue che quell’anima buona e generosa, vedendosi negato il suo diritto di vita, lo neghi a sua volta.

D’altronde, è neonata. Nulla sa e ciò che la società, il suo creatore in primis, suo padre, gli insegnano altro non è che odio, ovvero, la negazione della vita.

Ecco che il Frankestein diviene la voce dei malanni e delle paure della società.

In quelle righe, pubblico e critica vi leggono un monito, un futuro distopico dove l’uomo perirà a causa della sua stessa presunzione.

Infine, le va il merito che proprio questo futuro tanto improbabile, quanto catastrofico, questo “peggiore dei mondi” che ritroveremo anche nel The Last Man, pone la prima pietra per quella che sarà chiamata letteratura distopica.

 

 

 

 

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